sabato 30 agosto 2008

Lezioni


La Fenice, attraverso il fido Panorama, pubblica delle intercettazioni che dovrebbero compromettere Romano Prodi, registrato mentre chiede consigli per il figlio e si informa su dei finanziamenti per il consuocero (che non ho idea di che tipo di parente sia). Subito inizia a destra lo straccio delle vesti: prima Schifani ("Auspichiamo che il Parlamento si assuma la responsabilita' di intervenire al piu' presto sull'annoso e deprecabile tema delle inopportune pubblicazioni delle intercettazioni prive di rilevanza penale"), poi lo stesso Silvio si esibiscono in una pelosa e interessata solidarieta' con l'ex rivale, per spianare il percorso del decreto che dovrebbe tappare definitivamente la bocca e all'informazione e agli investigatori. Cosi' la Fenice: “La pubblicazione di telefonate che riguardano Romano Prodi, a cui va la mia assoluta solidarietà non è che l’ennesima ripetizione di un copione già visto. E’ grave che ciò accada e il Parlamento deve sollecitamente intervenire per evitare il perpetuarsi di tali abusi che tanto profondamente incidono sulla vita dei cittadini e sulle libertà fondamentali”. Evidentemente la liberta' fondamentale della Fenice non solo di restare impunito, ma anche di non far sapere le varie sconcezze che commette.
Per fortuna arriva lesta la replica di Prodi, che dimostra ancora una volta, se ancora ce ne fosse bisogno, la differenza abissale fra i due, quella per dirla come Domenico fra uomini, ometti e quaquaraqua:

Vista la grande enfasi e, nello stesso tempo, l'inconsistenza dei fatti a me attribuiti da Panorama, non vorrei che l'artificiale creazione di questo caso politico alimentasse la tentazione di dare vita nel tempo più breve possibile ad una legge sulle intercettazioni telefoniche che possa sottrarre alla magistratura uno strumento che, in molti casi, si è dimostrato indispensabile per portare alla luce azioni o accadimenti utili allo svolgimento delle funzioni che le sono proprie. Da parte mia non ho poi alcuna contrarietà al fatto che tutte le mie telefonate siano rese pubbliche

Bastera' per far imparare a Silvio la lezione, o continueremo a veder piegata la legalita' al salvare le apparenze per i comodi del nostro amato Primo Ministro, quello che ha sempre la coscienza a posto?

venerdì 29 agosto 2008

More than a ten percent chance on change

With profound gratitude and great humility, I accept your nomination for the presidency of the United States



Ieri a Denver, nello stesso giorno in cui 45 anni fa Martin Luther King di fronte a Lincoln Memorial spiegava il suo sogno di uguali opportunità fra bianchi e neri, Barack Obama ha accettato la candidatura per i Democrats a presidente degli Stati Uniti. L'ha accettata parlando della sua idea per una nuova America, sfidando frontalmente il suo avversario, lobbisti e poteri forti, dimostrando di essere in grado di trasformare la voglia di cambiamento che e' riuscito a catalizzare in un insieme di politiche concrete, capaci di risollevare il paese dalla sue contraddizioni, dalla sua crisi economica e di immagine. Qui il testo completo (sempre in inglese).

You understand that in this election, the greatest risk we can take is to try the same old politics with the same old players and expect a different result [...]
For over two decades, John McCain has subscribed to that old, discredited Republican philosophy - give more and more to those with the most and hope that prosperity trickles down to everyone else. In Washington, they call this the Ownership Society, but what it really means is - you're on your own. Out of work? Tough luck. No health care? The market will fix it. Born into poverty? Pull yourself up by your own bootstraps - even if you don't have boots. You're on your own.
Well it's time for them to own their failure. It's time for us to change America [...]


"Capite che il maggiore rischio che possiamo prenderci in queste elezioni e' tentare le stesse vecchie politiche con gli stessi vecchi protagonisti e aspettarci un risultato diverso". Chissa' se Veltroni, Fassino, Ruttelli e il resto dei dinosauri del PD sconfitto pochi mesi fa che lo ascoltavano a Denver hanno preso qualche appunto...

giovedì 28 agosto 2008

E io pago


E' ormai quasi pronto il "piano Fenice", cosi' denominato in onore del suo ideatore la Fenice, per la resurrezione dalla sue ceneri di Alitalia. Ovviamente il piano e' completamentea carico del contribuente, per salvare gli interessi dei soliti privilegiati, e far lucrare al di fuori di ogni regola di mercato le grandi famiglie imprenditoriali. Fino a poco fa infatti nella cordata promossa in campagna elettorale dalla Fenice non ci credeva nessuno. Adesso invece, oltre ai 10 investitori apparsi la settimana scorsa, ne appaiono ufficialmente altri cinque. I partecipanti alla cordata stanno infatti per ottenere dal governo una sorta di deroga antitrust per riprendere il controllo del mercato italiano e per scaricare su una bad company tutti i debiti. Che pagheremo noi: come biasimarli per il "rischio" che si assumono? Riceveranno un marchio a costo quasi zero, sapendo che se andasse male ci sarebbe comunque lo stato pronto a salvarli: Roberto Colaninno, il gruppo Benetton, il gruppo Aponte, Riva, il gruppo Fratini, i Ligresti, Equinox, Clessidra, il gruppo Toto, il gruppo Fossati, Marcegaglia, Caltagirone Bellavista, il gruppo Gavio con Argo, Davide Maccagnani con Macca, Tronchetti Provera e la stessa Intesa Sanpaolo. Si riavvicinano anche i patner stranieri con AirFrance/Kelme, dato che per i manager del gruppo franco-olandese si tratterebbe di un affare migliore e con meno rischi di quello che si erano impegnati a concludere nello scorso marzo: niente debiti di cui farsi carico e nessun esubero da gestire, dal momento che gran parte dei primi (si dice oltre un miliardo di euro) e tutti i secondi (tra i 5000 e i 7000) verrebbero lasciati a una bad company creata allo scopo. Senza contare che il piano prevede la ripresa di controllo del mercato italiano in monopolio, grazie all’acquisizione degli aerei e degli slot di Air One, e grazie alla deroga anti-trust chiesta al governo. La deroga dovrebbe essere applicata grazie all’articolo 25 della legge 287/90, il cui primo comma recita: “Il Consiglio dei ministri, […] determina in linea generale e preventiva i criteri in base ai quali l’Autorità può eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate ai sensi dell’articolo 6, sempreché esse non comportino la eliminazione della concorrenza dal mercato o restrizioni alla concorrenza non strettamente giustificate dagli interessi generali predetti”. Ora uno si domanda, senza risposta, quali siano gli interessi generali per l'economia nazionale, salvo quelli particolari di chi sta speculando con i nostri soldi: quelli destinati ad accollarsi tutti i debiti, per la solita socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti tipica del socialismo berlusconiano all'italiana. Matteoli al meeting di CL rassicura anche sugli esuberi (piu' di quelli previsti dal piano Air France bocciato proprio per questi motivi): saranno tutti assunti alle Poste, probabilmente al posto di quei precari a cui si vuole impedire di fare ricorso per la stabilizzazione. Da non credere: spero che quando mi finira' il contratto in Germania Matteoli trovi un posticino anche a me. L'unica speranza e' a Bruxelles, che gia' aveva mosso pesanti critiche al piano, dal momento che le ragioni per cui questa operazione non è accettabile nel quadro europeo di politica industriale sono tante e tali da far paura: peccato pero' che il commissario europeo ai trasporti sia stato piazzato la' proprio dalla Fenice.
Alla fine l'operazione d'immagine e lo spot elettorale della Fenice, nonche' qualche altro miliardo nelle casse nei gruppi di finanzieri che hanno sfruttato la situazione, costerà ai contribuenti italiani un miliardo di euro come minimo, più il costo sociale degli esuberi, cioè dei licenziamenti che saranno più del doppio e poco meno del triplo di quanto sarebbe avvenuto in marzo. Evvai, siamo nelle mani del commissario Fantozzi...

mercoledì 27 agosto 2008

Toponomastica collusa


Cambia nome dopo poco piu' di un anno l'aeroporto di Comiso, Ragusa. La giunta di centro-destra ha infatti ripristinato la denominazione del vecchio aeroporto scalo militare, intitolato al generale dell'Aeronautica Vincenzo Magliocco, morto in Africa nel 1936: un fascista che "chiedeva, con generosa insistenza, di partecipare ad ardita impresa aeronautica intesa ad affermare, col simbolo del tricolore, il dominio civile di Roma su lontane contrade non ancora occupate". Cancellata la dedica a Pio La Torre, segretario regionale del PCI, padre della legge sulla confisca dei beni ai mafiosi e per questo ucciso dalla mafia il 30 Aprile 1982. Aveva anche avuto un ruolo determinante nell’opporsi alle infiltrazioni mafiose quando il vecchio aeroporto militare fu riconvertito in base missilistica della NATO. «Come rileva un sondaggio effettuato a suo tempo - dice il nuovo sindaco Giuseppe Alfano - l'intitolazione a La Torre aveva riscontrato scarso gradimento fra i cittadini». Probabilmente tra i cittadini piu' cittadini degli altri, visto che la denominazione era stata sostenuta da un'appello firmato da migliaia di siciliani . Pio la Torre era stato infatti il primo a capire che le mafie andavano colpite al cuore, nella loro capacita' di accumulare ricchezza e di tessere relazione col mondo dell'economia e della finanza, in una fitta rete di coperture e collusioni politiche ed istituzionali. Forse per questo agli occhi di chi quegli interessi e collusioni vuole preservare e moltiplicare non merita che lo scalo Ragusano sia dedicato alla sua memoria e al suo sacrificio. Così l'ex sindaco di Comiso, Pippo Di Giacomo, che aveva promosso la dedica dell'aereoporto alla memoria di La Torre a 20 anni dalla sua uccisione, ha commentato la decisione del Comune di togliere l'intitolazione del locale aeroporto a Pio La Torre:

Mi pare che, per la seconda volta è stato ammazzato Pio. Un'azione politica brutale, ottusa, sconsiderata, condotta con malafede, recuperando l'intitolazione di un non più esistente aeroporto militare distrutto dalle forze alleate oltre 60 anni fa. Mi vergogno di essere siciliano, me ne vergogno senza scusanti

Che si vergogni piuttosto il nuovo sindaco, il consiglio comunale controllati come marionette, e che hanno anche il coraggio di chiamarsi popolo delle liberta'.

martedì 26 agosto 2008

Il gigante non Russa


Dopo il cessate il fuoco la situazione in Georgia si aggrava, come previsto, sul piano politico. Mosca e' lesta a riconoscere l'autonomia di Ossezia e Abkazia, a minacciare di cessare ogni collaborazione con la NATO per il supporto in Afghanistan, e a uscire dagli accordi del WTO. Il presidente Russo Medvedev manda anche una lettera a Stati Uniti, Francia, Germania e (!?) Italia per spiegare candidamente che loro nulla hanno fatto se non cogliere l'occcasione offerta dalla Georgia per mettere i puntini sulle i di chi deve comandare in quella regione, alla faccia dei tentativi di espansione della NATO. L'America si trova pero' con le mani legate, con di fronte una potenza nucleare che sembrava addormentata, ma che si e' improvvisamente risvegliata dal continuo e improvvido pungolamento della politica statunitense di allargamento della NATO; con i due pesi e due misure della difesa del diritto di autoderminazione sostenuto nei Balcani e in Cecenia, ma il principio dell'unita' territoriale chiamato in causa per la Georgia.
Ma come siamo arrivati a questa situazione? Un quadro ben tracciato della situazione e delle sue origini nella storia Russa e internazionale recente, ben piu' articolato e motivato del mio bignami di qualche giorno fa, in un bell'articolo di Bernard Guetta tradotto su Repubblica di ieri:

Il disagio è profondo. Monaco e ancora Monaco, riferimenti continui a quel momento tragico in cui le democrazie temporeggiavano con Hitler quando la sua ascesa era ancora resistibile. Una reminescenza non priva di fondamento.Malgrado il Tibet, i capi di Stato e di governo hanno fatto ressa ai Giochi Olimpici per pagare il loro tributo alla potenza cinese. Nonostante la riaffermazione della potenza militare russa a Tbilisi, gli Stati Uniti hanno alzato i toni solo dopo la sconfitta georgiana. C´è nell´aria una sorta di rassegnazione alla forza di quei due imperi, tanto più allarmante in quanto l´uno e l´altro associano la peggior violenza del denaro e le disuguaglianze più stridenti alla brutalità dei loro apparati di potere monopolistici, direttamente ereditati dai tempi del comunismo. Dunque Monaco? Un nuovo nazismo pronto alla guerra per asservire le nazioni e sterminare i popoli? No. La preoccupazione è fondata, ma il confronto rischia di essere pernicioso: a forza di rappresentarsi la guerra passata si finisce per non vedere i dati della nuova situazione internazionale e i motivi dell´arretramento della libertà in Russia. Torniamo indietro nel tempo. Un viaggio in un passato prossimo al di fuori del quale non si può comprendere né questa crisi georgiana, né le tensioni che provoca. Nel 1991 Mikhail Gorbiaciov è travolto dalla libertà cui ha dato respiro. L´intellighentsia lo accusa di non fare abbastanza, i nazionalisti lo rimproverano per aver aperto le porte all´unificazione tedesca e al ribaltamento dell´Europa centrale. Le riforme, e soprattutto le difficoltà economiche alimentano i separatismi delle repubbliche sovietiche, in quei Paesi che gli zar, e non il comunismo, avevano aggregato alla Russia. A Mosca tutto si sfascia, e qui gli occidentali commettono il primo degli errori che tanto hanno contribuito a plasmare la Russia di oggi. «Aiutatemi», aveva detto Gorbaciov al vertice del G7 nel luglio di quell´anno. Chiedeva che gli venissero concessi prestiti di entità sufficiente a dargli tempo per evitare l´esplosione e trasformare l´Urss – com´era sua intenzione – in un mercato comune dell´Est. Il costo sarebbe stato alto per gli occidentali: somme colossali da sborsare, ma in pegno avrebbero potuto chiedere le risorse naturali della Russia, e con una sola mossa assicurarsi gli approvvigionamenti energetici, aprire il Paese ai loro investimenti, modernizzare l´intera l´area sovietica e organizzare la sua transizione verso la democrazia e le indipendenze nazionali. Avrebbero potuto stabilizzarla, così come dopo la liberazione l´America aveva stabilizzato l´Europa occidentale grazie al piano Marshall; e invece hanno dato il benservito al visionario che aveva compreso la necessità di salvare la Russia dal fallimento del comunismo, evitandole al tempo stesso, a qualunque costo, la violenza di una nuova rivoluzione. Un Gorbaciov prostrato li aveva avvertiti: «Non mi vedrete più al vostro prossimo Vertice. E sarà il caos». Come aveva previsto, sei mesi dopo ogni speranza di riforme graduali e controllate era stata spazzata via. In agosto i più incapaci tra i dirigenti sovietici si erano autoproclamati salvatori dell´Urss per poi annaspare smarriti – alcuni giunsero anche al suicidio – quando Mikhail Gorbaciov rifiutò di firmare la lettera di dimissioni che gli avevano presentato. Quel colpo di stato fallì in poche ore, spianando però la strada al presidente della Federazione russa Boris Eltsin, che si oppose al putsch nel momento in cui era già abortito. Di intelligenza limitata, alcolizzato al punto di rendersi regolarmente indisponibile, diventa un eroe della democrazia. Gli occidentali commettono il secondo errore eleggendolo a interlocutore privilegiato. In dicembre Eltsin, che freme dalla voglia di insediarsi al Cremlino, convince i presidenti della Bielorussia e dell´Ucraina a separarsi insieme a lui dall´Unione Sovietica – o in altri termini, di firmare la sentenza di morte dell´Urss. Sconfitta finale del comunismo? Fine della "prigione dei popoli?" Tutto induceva a crederlo, ma era un po´ come se all´improvviso la Borgogna, Nizza, la Savoia, la Bretagna e Tolosa si separassero dalla Francia. Non era semplicemente l´indipendenza di Paesi colonizzati, dato che i secoli e la continuità territoriale avevano mescolato le popolazioni, interconnesso le economie, partorito un´identità comune. Fu un sisma, inevitabilmente seguito da una successione di ulteriori scosse. E nel decennio successivo gli occidentali commisero il loro terzo e più grave errore. Non appena ai comandi, sotto la copertura delle privatizzazioni, i parenti, i consiglieri, i sodali di Eltsin – "la famiglia", come ben presto diranno i russi – vendono fabbriche, terreni e risorse naturali, tutto ciò che può avere un valore nell´economia del Paese. Nella Russia del 1992 non esistono capitali privati, ma "la famiglia" vende a uomini di sua fiducia, i quali attingono alle casse delle imprese non ancora pagate per corrispondere prezzi modestissimi, e soprattutto per versare le enormi tangenti devolute al Cremlino. È la più grossa rapina della storia, e gli occidentali vi si associano con i loro applausi, i loro crediti e persino con ingiunzioni, con le percentuale riscosse dalle loro banche e società di consulenza, tanto che sembrano aver organizzato questa rivoluzione d´Ottobre alla rovescia. In pochi mesi si costruiscono enormi patrimoni, ostentati con tanto di limousine blindate, dimore sontuose e oscene esibizioni. L´inflazione sprofonda i pensionati nella miseria più nera, e lo stile di vita regale dei "nuovi russi" contrasta in maniera rivoltante con la mendicità che dilaga. E cosa dicono gli economisti che hanno inventato tutto questo, ex comunisti passati al liberalismo? «È inevitabile passare per l´accumulazione primitiva – sentenziano nel loro linguaggio marxista – per costituire i patrimoni privati che un giorno imporranno lo stato di diritto, al fine di legalizzarne il possesso». C´era un progetto razionale dietro quest´abominio, che però ha fatto sorgere un´economia mafiosa nell´area ex sovietica. La corruzione si è generalizzata. I regolamenti di conti sono diventati realtà quotidiana, e i russi hanno incominciato a detestare ciò che vedevano dell´economia di mercato, a confonderla con la rapina subita, a incolpare l´Occidente di avergli inflitto quella piaga per annientarli una volta per tutte. E c´è di peggio. Quando i deputati russi denunciano questa "terapia d´urto" e Eltsin ordina l´assalto al parlamento sorto dalle libere elezioni del 1989, gli occidentali non trovano nulla da ridire. Non contenti di aver convinto i russi che mercato è sinonimo di furto, accreditano un´idea della democrazia come potere dei ricchi, tanto da indurli ad aspirare ormai solo a un regime forte, con un capo capace di far risorgere lo Stato e costringere i saccheggiatori a restituire il maltolto. In una parola, promuovendo la giungla in Russia spianano la strada al potere di Vladimir Putin. Il male ormai è fatto, si dirà. Comunque, e quali che siano i torti degli occidentali, dal momento che è questa Russia – diretta dai servizi segreti, cementata dal nazionalismo, con le casse ricolme grazie all´impennata delle quotazioni petrolifere – a esercitare il suo peso sulle ex repubbliche sovietiche, cos´altro fare? Lo si legge in molte analisi: che fare, se non ingrossare le fila della Nato estendendola, come una rete di sicurezza, intorno al Paese più vasto del mondo? È una scelta – ma è quella sbagliata. Da scartare, per una ragione imprescindibile: difatti, se l´America ha lasciato che la Russia battesse l´esercito georgiano, è stato perché non poteva far altro. Non poteva minacciare di volare al soccorso delle truppe di Tbilisi, perché nel giro di un´ora la Russia avrebbe occupato l´intera Georgia. Non poteva bombardare le truppe russe, dato che Mosca rimane una potenza nucleare. E neppure poteva decretare sanzioni economiche, visto che l´approvvigionamento energetico dell´Europa dipende dalle forniture russe, e il costo del barile avrebbe allegramente sfiorato i 300 dollari, provocando il tracollo dell´economia americana. Ma soprattutto, gli occidentali hanno bisogno del sostegno della Russia per opporsi alle ambizioni nucleari dell´Iran, far ascoltare il Consiglio di Sicurezza, avviare le loro armi verso l´Afganistan e tentare di calmare le acque in Medio Oriente. L´America post-Iraq non può fare a meno di un´intesa con la Russia, ma avrebbe potuto evitare di mettere a nudo questo suo relativo indebolimento se la "vecchia Europa" non le avesse impedito, la scorsa primavera, di aprire le porte della Nato all´Ucraina e alla Georgia? Anzi: sarebbe stato peggio. E comunque gli Stati Uniti non si sarebbero mossi. L´Alleanza atlantica non avrebbe offerto alla Georgia la protezione militare dovuta ai suoi membri, con grave danno della stessa credibilità della Nato. Fortunatamente quella follia era stata bloccata dalla Francia e dalla Germania. Ma allora, a questo punto si devono subire i diktat della Russia, consentendole di dominare nuovamente i mercati? «Monaco!» «Monaco!» ripetono martellanti quelli che vorrebbero vedere un occidente unito in lotta contro questo ritorno della Russia. Ma qui si pone una questione fondamentale che non è stata sufficientemente dibattuta: in che senso Mosca rappresenta un pericolo? Come, da quale parte intenderebbe lanciarsi all´assalto dell´Occidente, o magari giocare alla politica del tanto peggio? Di fatto, in fin dei conti, cos´altro ha fatto in questa crisi, se non approfittare dell´offensiva della Georgia contro una sua regione secessionista per ricordare che dispone dei mezzi per impedire alla Nato di spingersi fino ai suoi confini? L´aggressore – per quanto piccolo, per quanto provocato – era la Georgia. Come può allora l´Occidente rimproverare la Russia per la sua reazione, dopo aver bombardato Belgrado per intere giornate in appoggio alla secessione kosovara? Come si può difendere il diritto all´autodeterminazione nei Balcani, e poi invocare nel Caucaso il principio dell´integrità territoriale, dopo averlo ridotto a carta straccia riconoscendo l´indipendenza del Kosovo? «Questione obsoleta», dichiarano su Libération André Glucksmann e Bernard-Henri Lévy: a parer loro, il fatto principale è che la Russia vieti a un Paese sovrano di scegliere le proprie alleanze. È indiscutibilmente vero, ma come reagirebbero gli Stati Uniti se il Messico o il Canada decidessero sovranamente di entrare a far parte di un patto militare dominato da Mosca? Avrebbero ogni ragione di vedere in questo una minaccia, e non arretrerebbero davanti a nulla per contrastarla. Tanto basti per dire che sarebbe ora di smetterla di evocare fantasmi sulla Russia. Rimane il fatto che vari popoli tenterebbero di sottrarsi al suo impero, se Mosca non li avesse dissuasi mettendo in ginocchio la Cecenia. Evidentemente è in atto in Russia una regressione autoritaria che ha soffocato l´opposizione, dando più spazio all´arbitrio. Questo Paese è tutto fuorché una democrazia, ma a parte il fatto che sarebbe irragionevole entrare in conflitto con tutti i regimi autoritari soltanto perché sono tali, proviamo per un attimo a calcarci in testa una chapka - il tempo di vedere l´Occidente con gli occhi dei russi. Quando l´ultimo presidente sovietico lasciò che il Muro si aprisse, l´Occidente giurò di non voler estendere i limiti della Nato. Si sa come poi sono andate le cose. Durante il decennio Eltsin, quando Mosca ricalcava la sua diplomazia su quella degli Stati Uniti, Washington aveva in bocca una sola parola, "partenariato"; ma da quando la Russia ha ripreso forza e ha ricostituito uno Stato, è tornata ad essere un avversario da contenere. È da allora che gli Usa hanno sentito la necessità di dispiegare nell´Europa centrale un sistema antimissile, teoricamente destinato a contrastare un´aggressione iraniana – ma la sua installazione in Polonia è stata accelerata dopo la disfatta della Georgia; e in quegli stessi anni, proprio quando la Russia manifestava a Washington la sua solidarietà dopo l´11 settembre, l´ingresso dell´Ucraina e della Georgia nella Nato è stato promosso al rango di imperativo categorico, per cui i russi hanno finito per concludere che l´America li amava solo a condizione che navigassero nel suo solco, sopra una zattera. Allora, ecco che la Russia si afferma sulla scena internazionale, e in maniera spettacolare, quando l´occasione è offerta da un Mikhail Shakasvili; e qui si innesca un ingranaggio. Che è pericoloso. Più si vuol contenere la Russia, e più le sue reazioni incitano a farlo. Ma se è vero che non ci troviamo alle prese con un nuovo Hitler, non assistiamo neppure a un risveglio della guerra fredda. Oltre tutto, dai Balcani al Caucaso le guerre stanno ridiventando calde in Europa, e una volta sotterrato il comunismo si tende a tornare a quella che era la Storia prima delle ideologie: le rivalità tra le grandi potenze, le loro aree di influenza, le schermaglie e talora gli scontri frontali, quando nelle capitali la Ragione veniva meno. Volendo drammatizzare ad ogni costo, saremmo tornati non al 1938 o al ‘62, ma al 1914: ai prodromi della prima guerra mondiale, piuttosto che a Monaco o a Cuba. Il punto essenziale oggi è organizzare gli equilibri tra le vecchie e le nuove potenze; e trovarlo nei confronti della Russia non dovrebbe essere la cosa più difficile. Il fatto che Vladimir Putin si sia astenuto dal modificare la Costituzione per ricandidarsi una terza volta non è privo di significato. Se ne desume da un lato che l´opinione pubblica russa avrebbe reagito male a una mossa del genere, finalizzata alla sua presidenza a vita; e dall´altro, che lo stesso Putin deve tener conto di un certo pluralismo della classe dirigente. Ancora più notevole è il fatto che non abbia scelto, in definitiva, un uomo a sua immagine per presiedere la Russia sotto la sua ombra, bensì un giovane giurista forbito e sorridente, giunto all´età matura nei primi anni del post-sovietismo. La Russia, per quanto oligarchica, è un mondo in movimento. La libertà imprenditoriale ha fatto nascere un ceto medio in ascesa, e come prevedevano gli ideologi della terapia d´urto, oggi i predatori degli Anni 90 hanno sete di diritto per perpetuare la loro ricchezza. Dimitri Medvedev è stato scelto da Vladimir Putin perché interpreta le speranze degli ambienti influenti, e quando parla del suo Paese come di uno dei «tre rami della civiltà europea», accanto all´America e all´Europa occidentale, esprime un´aspirazione russa che a Mosca si fa sentire. Ed è su questo che bisogna puntare. L´Occidente commetterebbe un nuovo errore se non tentasse di farlo – uno di troppo, dato che quest´aspirazione affonda le sue radici nelle debolezze di fondo con cui si confronta la Russia, potenza convalescente ma demograficamente in declino, che non può fare a meno della tecnologia occidentale per modernizzare le sue trivellazioni. Che ha bisogno di vendere il suo gas e il suo petrolio non meno di quanto l´Europa abbia bisogno di acquistarli, ed è in contatto diretto con l´affermazione cinese e l´implosione islamica. In ultima istanza, è la geopolitica a spingere la parte più lucida della Russia verso l´Occidente – il timore dell´islam e una reale paura della Cina, che col suo dinamismo economico e mercantile si impone nell´Asia centrale annettendosi, attraverso i commerci, una parte sempre maggiore della Siberia russa. Cultura, economia e geografia concorrono per creare le basi di un equilibrio tra russi e occidentali, e organizzare una stabilità del continente Europa tra la Federazione russa e l´Ue. Ma tutto ciò non passa per l´abbandono dell´Ucraina e della Georgia alle nostalgie imperiali degli antichi padroni. Servirebbe solo un minimo di buon senso per rinunciare a integrare questi due Paesi nella Nato, rafforzando invece i loro legami con l´Unione, trasformandoli in spazi di cooperazione e di scambi privilegiati con le due potenze continentali – il pegno, prospero e protetto, della loro intesa. Se non sarà così, il seguito è già scritto. La prossima guerra europea non si combatterà nel Caucaso, ma esploderà ai confini della Polonia, alle frontiere stesse dell´Unione, in quell´Ucraina che da quasi dieci anni si sta dilaniando tra russofili e occidentalisti.

lunedì 25 agosto 2008

Il ritorno del terrone


Sono tornati: con i Rom annientati da Maroni, con i Rumeni che fanno solamente qualche scappatella (ma solo se te la vai a cercare) grazie alle pattuglie che sorvegliano le nostre strade, tornano a grande richiesta i capri espiatori terroni. Quelli nostrani, dalle terre del sud italia ricche di monnezza e fannulloni. Di mafia no, anche quella non esiste piu'. E' infatti in preparazione la Grande Offensiva per far digerire al paese senza bisogno dell'olio di ricino la riforma federalista alla Calderoli, che come e' pensata dalle destre non e' altro che l'ennesimo strumento per dare a chi ha di piu'. Per fare coesione nell'opinione pubblica infatti, cosa c'e' di meglio del nemico interno numero uno tolto per l'occasione dalla naftalina, il redivivo terrone? Ed e' compito del ministro Gelmini, qui ritratto subito prima di una capriola sul divano, gettare il primo sasso dopo qualche suggerimento di Bossi un mesetto fa. "Nel Sud alcune scuole abbassano la qualità della scuola italiana. In Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata organizzeremo corsi intensivi per gli insegnanti". La colpa dei problemi della scuola italiana non e' dunque nei tagli (-85000 docenti tra il 2009 e il 2011), nel malgoverno, nel magna magna degli sprechi, nel tentativo di affondare la scuola pubblica per incentivare quella privata, ma nel comune di nascita di professori e presidi. E la ministra cita i dati di uno studio Ocse-Pisa dell'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione (qui i dati) a corroborare le sue tesi. Peccato che quei dati, come spiega assai bene in un bell'articolo Gennaro Carotenuto, si possano anche leggere come una dimostrazione che nonostante le differenze di risorse a disposizione, la scuola e' uno dei pochi campi in cui il divario fra le due parti d'Italia non e' ancora esorbitante, grazie proprio al lavoro degli insegnanti:

... emerge invece soprattutto il valore unificante che persiste nella scuola pubblica. Nonostante le differenze di reddito, di disponibilità di libri, di computer, di connessioni Internet, di occasioni di cultura, di strutture, laboratori, palestre siano tutte abissalmente a favore degli studenti del Nord, proprio la scuola meridionale, che fa le nozze con i fichi secchi, se non ancora con doppi turni e altre carenze croniche, tampona e rende minimo il ritardo, solo l’8% in meno nel caso peggiore (la Sicilia, ma appena -4% la Lucania, -4.5% la Campania) rispetto alla media nazionale. Un vero miracolo questa scuola pubblica meridionale, che non abbassa la testa, sulla quale investire per ripartire e non tagliare, come invece vuol fare il governo coloniale padano installato a Roma con il beneplacito di quasi tutti gli italiani. A parità di risorse e di contesto, la scuola meridionale è dunque paradossalmente più efficiente di quella settentrionale. Faceva notare il preside di un Liceo trentino che invitò un paio d’anni fa chi scrive per una conferenza, che la sua scuola aveva un bilancio triplo (1.5 milioni contro 0,5 milioni di Euro) rispetto a strutture equivalenti nel resto d’Italia. Se questo triplo di risorse si converte in appena un +11% allora è mal speso e chi invece fa nozze con i fichi secchi e riesce a restare indietro di appena una spanna, ha tutta la mia ammirazione...

Prepariamoci dunque a una nuova crociata, non solo sulla scuola, contro il terrone invasore e mangiapane a tradimento; nel tentativo di imporci il federalismo alla Calderoli senza quelle tabelle alla mano che Bersani chiedeva ieri alla festa del PD fiorentina, di inseguire i vantaggi per i soliti pochi in cambio della disgregazione finale e definitiva del paese. State attenti, che i terroni sono tornati.

sabato 23 agosto 2008

Insicurezza percepita


«Un mio amico siciliano d'un piccolo paese della campagna agrigentina dove ancora risiede sua madre ottantenne, mi ha raccontato un suo colloquio telefonico con la mamma. "Era più tranquilla, mi ha detto, perché stavano per arrivare i militari. Quali militari?, gli ho chiesto. I soldati, quelli dell'esercito. Ma chi te l'ha detto? La televisione. Ma non arriveranno mai nel nostro paese. Invece sì, la televisione l'ha detto. E perché sei più tranquilla? Perché cacceranno gli zingari che rubano i soldi e anche i bambini. Ma non ci sono mai stati zingari da noi. No, ma sono pericolosi e rubano tutto. Mamma, hai mai visto uno zingaro nella tua vita? No, però la televisione dice che sono pericolosi, ma adesso che arrivano i militari mi sento rassicurata. Da noi però c'è la mafia, le ho detto io. Sì, mi ha risposto, ma quelli li conosciamo, sono del paese"».

Eugenio Scalfari, L´Espresso




A proposito di propaganda, qualche sera fa mi sono visto 300, lasciando ahime' momentaneamente da parte ogni mia resistenza dopo molteplici "non fare lo spocchioso e' solo un fumetto su un fatto storico": mai vista simile concentrazione di propaganda filo-imperialista infarcita di razzismo concentrata in un'ora e mezzo di film. Rimando in merito all'ottima lezione di Wu Ming 1.

venerdì 22 agosto 2008

Tempi bui


Fa scalpore sui giornali l'intervista della Fenice al settimanale Tempi, vicino a CL: qui il testo completo, che vale una lettura dopo una bella camomilla. Niente a che fare con certi criptocomunisti che popolano altre riviste cattoliche, qui siamo in pieno territorio delle paggerie esplicite. Da tempo non leggevo niente di piu' sdolcinato (astenersi se avete problemi di glicemia): "Se non sposta le montagne, Lui non è contento. Certo. L'impossibile è anche un po' il Suo difetto. Quasi quasi si crede un Giove. Vero. Quasi sempre si specchia nell'acqua di un Adone Narciso e si vede forte, giovane, bello. Gagliardo principe di un Olimpo dove l'amore e la guerra, il frivolo sentimentale e la reputazione da statista, passeggiano mano nella mano, lieti e cum gaudio, per il giardino dell'Eden di Villa Certosa". Si vede che la penna, cosi' come l'eloquenza, del direttore Luigi Amicone e' davvero ispirata. Il Biscione sa di giocare in casa e si scatena, esortato dalle domande perfettamente imparziali di Amicone ("nonostante l'Italia eriditata da Prodi", "state rispettando le promesse fatte agli elettori", il "partito delle manette", etc). Attacca la sinistra, fatta di deludenti comunisti succubi di frange giustizialiste, evidentemente colpevoli di difendere la legalita', e minaccia la prossima ventura riforma della giustizia "seguendo il modello di Falcone": e infatti fara' saltare in aria tutti i magistrati scomodi. Come sempre la Fenice non si fa problemi a scomodare morti che non possono piu' prendere le distanze, come fece gia' con Biagi, per nascondere dietro un nome intoccabile le riforme piu' meschine. Dall'autostrada alla precarizzazione selvaggia del mercato di lavoro di ieri, alla fine dell'autonomia della magistratura di oggi. Finendo poi col dessert, i soliti riferimenti al Santo Padre e alla chiesa in materia di eutanesia e "difesa della famiglia" capaci di mandare in brodo di giuggiole i lettori di Tempi. Su diritti umani, uguaglianza e razzismo ovviamente un dignitoso silenzio: ma si sa che queste cose per un cattolico vero non contano nulla. Ma la perla e' la dichiarazione su Putin: "Grazie a Dio il mio amico Putin mi ha ascoltato. Altrimenti col cavolo che i carri armati russi si sarebbero fermati a quindici chilometri da Tbilisi. Abbiamo evitato un inutile bagno di sangue": meno male che Silvio c'e', il ragazzo di piazza Tiananmen in confronto era un pischello, lui i carri li aveva fermati solo per pochi secondi. Dopo le polemiche, il fido Amicone si e' subito affrettato a precisare che si trattava di una confidenza "scherzosa" (ahahah!) che non andava pubblicata.
Per gli stomaci forti, raccomando anche la lettura sullo stesso giornale e dello stesso magnifico autore del confronto fra i primi cento giorni del governo Berlusconi e quelli di Prodi. Un gioiello di partigianeria: si va dal fattore C di Prodi (mentre il povero Silvio incrocia la congiuntura internazionale sfavorevole), al tesoretto inesistente, passando per il grugno di Visco e analisi geniali su giustizia, politica internazionale e xenofobia per riportarle in qualche modo su un tracciato presentabile. Peccato che la realta' sia molto diversa, qui sintetizzata in esaurienti 64 pagine. Ma la solita perla arriva alla fine:

Ragazze immagine: Quella del governo Prodi era Vladimiro Guadagno detto Luxuria. Quella di Berlusconi è Mara Carfagna. E si è così detto tutto.

Un genio. Gli manca solo la pubblicazione delle foto della Fenice che cammina sulle acque al meeting in riviera di CL...

mercoledì 20 agosto 2008

Due mesi



... non distingue più l'inizio di quando sono partite
sopra gli ormeggi e la zavorra sono partite
tolti gli ormeggi e la zavorra sono partite...

martedì 19 agosto 2008

A bit folkoristic


Continua senza sosta l'Emergenza Nazionale in Italia. E se ne parla diffusamente anche all'estero con articoli dal tono di Famiglia Cristiana (pericoloso libercolo sovversivo), specialmente dopo la foto che ritrae i corpi senza vita di due bambine Rom annegate sulla spiaggia di Torregaveta mentre intorno a loro la vita da spiaggia continua. Chissa' se il governo inglese prendera' le distanze dall'Indipendent, precisando che non rappresenta la loro linea. Intanto (via Ivan) anche la BBC intervista Frattini, che reputa "a bit folkoristic" certe espressioni dei suoi alleati leghisti e neofascisti, ma nega che il razzismo sia ormai di casa in Italia. Anzi, probabilmente i bagnanti ritratti nella foto a prendere il sole a due passi dai cadaveri delle bimbe sono inglesi. Come pure erano sicuramente stranieri gli anonimi lanciatori di molotov a Empoli, o i 14 giovani che hanno pestato ieri uno studente Angolano all'Universita' di Genova: l'unica cosa che sapevano dire in Italiano e' probabilmente "sporco negro puzzi", bisogna capirli.
Ma il giro di vite sicurezza continua: con i "poteri speciali" conferiti ai sindaci da Maroni (che probabilmente includono anche campi di forza, pispistrelli ammaestrati e tele di ragno), l'estate e' tutta un susseguirsi di norme assurde che vietano di tutto, dal bacio in macchina alla birra per strada: il solito Indipendent qualche giorno fa titolava "Tourists beware: if it's fun, Italy has a law against it". Abbiamo gia' detto del nuovo delirante e repressivo regolamento comunale fiorentino, ma per chi volesse una panoramica piu' completa del panorama delle ordinanze creative, dall' "assolutamente vietato danneggiare o rubare i cartelli che recano messaggi di divieto" al "vietato lo stazionamento serale di 3 o più persone nei parchi e nei giardini comunali" a Novara, rimando al blog OrdinanzaPazza. E mentre ci si occupa di queste cose fondamentali per la sicurezza, tutto il resto va a rotoli: c'e' chi pensa a farsi giustizia da se' in pieno stile far-west, e chi invece festeggia di poter tornare a frodare tranquillamente il fisco, visto che le norme, quelle si' di sicurezza pubblica, del precedente governo in materia che avevano portato risultati insperati sono state cancellate o rese inapplicabili. Evviva.

giovedì 14 agosto 2008

Sepolcri imbiancati


Neanche finisco di parlare, che il Vaticano interviene per tenersi stretto il suo piatto di lenticchie. Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha infatti incredibilmente (o, purtroppo, forse del tutto prevedibilmente) dichiarato:

Famiglia Cristiana e' una testata importante della realta' cattolica italiana ma non ha titolo per esprimere le posizioni della Santa Sede ne' della Conferenza Episcopale Italiana. La sua linea rientra nella responsabilita' della sua direzione.

Faccio notare a Federico Lombardi che lui e la CEI, e neppure la Santa Sede, hanno diritto di parlare per la Chiesa, a meno che non si tratti di materia di fede. Ovviamente non aspettava altro Gasparri, che gia' aveva dato di fascista alla rivista:
Le parole del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, sono talmente chiare che non e' piu' necessario aggiungere nulla. Continueremo serenamente e con umilta' a difendere in politica i valori cattolici che sono alla base della identita' della nostra nazione e anche del programma politico del centrodestra. Una sconfessione di questa portata vale mille volte di piu' di una vittoria processuale degli insulti subiti. C'e' da augurarsi che il direttore di 'Famiglia Cristiana' abbandoni la condotta personale, che ho potuto constatare, tutt'altro che in linea con la solidarieta' agli ultimi.

La faccia come il culo, parla anche di solidarieta' agli ultimi, quelli che non possono neppure piu' frugare nei cassonetti. Parla di valori cattolici, tra i quali probabilmente da oggi non rientra piu' la fratellanza, l'accoglienza e la condivisione, ma l'accumulo, il razzismo e l'uso del debole come capro espiatorio, il si salvi chi puo'. E mentre la stretta dell'esercito nelle strade porta all'incredibile risultato della multa ai barbieri senza licenza, mentre a Firenze il comune si vanta con un comunicato stampa di aver multato i mendicanti, mentre a Roma una Peruviana viene trattata da prostituta da una pattuglia della Polizia per il solo fatto di essere straniera, la destra continua con la sua politica di "solidarieta' agli ultimi". E il Vaticano, complice ignavio e silenzioso, mette a tacere l'unico dissenso che in Italia ha il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome: fascismo. Attendiamo con ansia la rimozione del direttore da parte del Vaticano. Vergogna: siccome non trovo le parole, mi affido a quelle di quel tale che la Santa Sede e Giovanardi dicono di mettere al primo posto nella loro scala (?!) di valori:

Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l'amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre. Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo (Lc 11, 42-44)

Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. [...] Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. [...] Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto! [...] Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità. (Mt 23, 4 e seguenti)

E poi c'e' chi dice che il Vangelo non e' attuale. Probabilmente solo nella sala stampa del Vaticano e nel gruppo della Pdl al Senato.

Criptocomunisti


Non sapevamo che Giovanardi fosse l'unico custode della vera dottrina della Chiesa. Eppure ha accusato di eresia il piu' venduto settimanale cattolico, "Famiglia Cristiana", dal momento che in una serie di editoriali ha osato addirittura muovere critche alla deriva razzista e classista del governo. Poco importa, ad esempio, che l'enciclica Conciliare "Gaudium et Spes" ricordi esplicitamente che "se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa", ponendo in realta' lo stesso Giovanardi al di fuori della vera dottrina della Chiesa. Anche tralasciando per un momento la scellerata politica di cui e' complice di governo, e che piuttosto naturalmente un settimanale cattolico ha non solo il diritto, ma anche il dovere di contestare, dal momento che cozza con i principi piu' basilari del messaggio Cristiano ("ero straniero e mi avete accolto", "amatevi l'un l'altro", e via dicendo con il catechismo delle elementari). Probabilmente in un paese normale avrebbe anche il diritto e la possibilita' di farlo senza essere dichiarato "fascista" dai membri di un governo sostenuto da una maggioranza farcita, quella si', di esponenti fascisti, che impunemente sventolano la bandiera cattolica per accaparrarsi voti in cambio di un piatto di lenticchie condito con scuola privata, eutanasia e aborto, scambiato con una gerarchia miope e compiacente. Per fortuna la Chiesa non e' tutta la', per fortuna qualcuno ancora fa notare che la coerenza e' richiesta anche in questo mondo, che "non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio", che cerca di non rendersi complice di quello che questa destra sta facendo al paese, ai cittadini e agli stranieri che cercano in Italia dignita' e speranza. Per fortuna c'e' ancora qualcuno che si domanda su una rivista popolare se "È troppo chiedere al Governo di fugare il sospetto che quando governa la destra la forbice si allarga, così che i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?". Ce ne fossero di criptocomunisti, come ha definito Gasparri la rivista, che invitano il governo a "smettare di giocare ai soldatini e risponda della grave situazione economica in cui versa il paese". O dovrebbero restare chiusi nelle catacombe?

mercoledì 13 agosto 2008

E quindi uscimmo...

... a riveder le stelle



Dopo 8 anni, dopo il Bati che zittisce il Camp Neu, dopo l'incredibile gol con l'Arsenal (che fece dei viola l'unica squadra italiana a vincere nel vecchio stadio di Wembley), dopo il due a zero ad opera del solito Bati e di Balbo (!!) rifilato al Manchester (ultima partita di Champions che ho visto allo stadio), e dopo tanta sfortuna e averla gia' conquistata inutilmente sul campo per 2 anni di fila, siamo tornati. E se a Praga non combiniamo un disastro, ci sara' da divertirsi sperando che la prova di ieri non sia solo un fuoco di paglia. Uno su tutti, Felipe Melo. "7,5: Autorevole e autoritario. Il publico si esalta per le sue veroniche, per le sportellate che rifila ai poveri avversari, per le aperture, i passaggi, i contrasti. E' già un beniamino del Franchi, unisce la qualità di un centrocampista raffinato alla forza fisica di un caterpillar". Lo prenoto gia' per il fantacalcio.

martedì 12 agosto 2008

S. Anna, 12 Agosto 1944


Mentre il mondo lontano e prossimo rinnova troppo spesso le scene di devastazione, di carneficine e di scempi, Sant’Anna, con l’umile autorità che le viene dal suo martirio chiama tutti gli uomini ad una definitiva conversione alla pace, alla dignità del colloquio, alla ricerca costante di una possibile armonia. Il cuore degli uomini sia pari alla enormità del luttuoso retaggio e alla grandezza della speranza.
Mario Luzi
Appello di Pace, 18 giugno 1994

Il 12 Agosto del 1944 il 16° battaglione SS, con a capo il maggiore Walter Reder, sali' guidato da collaborazionisti fascisti al paese di Sant'Anna di Stazzema, nell'interno ddella Versilia. In poco più di tre ore massacrarono 560 innocenti. Uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti lassu' in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto e a cui i tedeschi aprirono il ventre con le baionette per poi lanciare il feto per aria sparandogli alla testa, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’uomo.
La verita' sulla strage e' emersa, oltre che dal racconto dei pochi sopravvissuti e di uno dei soldati, dalle indagini della Procura Militare di La Spezia e al ritrovamento negli scantinati di Palazzo Cesi a Roma di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi “Armadio della vergogna”, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra. Non fu ne' vendetta ne' rappresaglia, ma un atto terroristico, premeditato e curato in ogni minimo dettaglio con l'obiettivo di rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane presenti nella zona. La strage continuo' nei giorni seguenti, quando oltre 340 persone mitragliate, impiccate, bruciate con il lanciafiamme nelle valli vicine.
Così lo scrittore Manlio Cancogni narra gli avvenimenti di quella terribile giornata:

I tedeschi, a Sant’Anna, condussero più di 140 esseri umani, strappati a viva forza dalle case, sulla piazza della chiesa. Li avevano presi quasi dai loro letti; erano mezzi vestiti, avevano le membra ancora intorpidite dal sonno; tutti pensavano che sarebbero stati allontanati da quei luoghi verso altri e guardavano i loro carnefici con meraviglia ma senza timore nè odio. Li ammassarono prima contro la facciata della chiesa, poi li spinsero nel mezzo della piazza, una piazza non più lunga di venti metri e larga altrettanto una piazza di tenera erba, tra giovani piante di platani, chiusa tra due brevi muriccioli; e quando puntarono le canne dei mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto vicini che potevano leggere negli occhi esterrefatti delle vittime che cadevano sotto i colpi senza avere tempo nemmeno di gridare. Breve è la giustizia dei mitragliatori; le mani dei carnefici avevano troppo presto finito e già fremevano d’impazienza. Così ammassarono sul mucchio dei corpi ancora tiepidi e forse ancora viventi, le panche della chiesa devastata, i materassi presi dalle case, e appiccarono loro fuoco. E assistendo insoddisfatti alla consumazione dei corpi spingevano nel braciere altri uomini e donne che esanimi dal terrore erano condotti sul luogo, e che non offrivano alcuna resistenza. Intanto le case sparse sulle alture, le povere case di montagna, costruite pietra su pietra, senza intonaco, senza armature, povere come la vita degli uomini che ci vivevano erano bloccate. Gli abitanti erano spinti negli anditi, nelle stanze a pianterreno e ivi mitragliati e, prima che tutti fossero spirati, era dato fuoco alla casa; e le mura, i mobili, i cadaveri, i corpi vivi, le bestie nelle stalle, bruciavano in un’unica fiamma. Poi c’erano quelli che cercavano di fuggire correndo fra i campi, e quelli colpivano a volo con le raffiche delle mitragliatrici, abbattendoli quando con grido d’angoscia di suprema speranza erano già sul limitare del bosco che li avrebbe salvati. Poi c’erano i bambini, i teneri corpi dei bimbi a eccitare quella libidine pazza di distruzione. Fracassavano loro il capo con il calcio della «pistol-machine », e infilato loro nel ventre un bastone, li appiccicavano ai muri delle case. Sette ne presero e li misero nel forno preparato quella mattina per il pane e ivi li lasciarono cuocere a fuoco lento. E non avevano ancora finito. Scesero perciò il sentiero della valle ancora smaniosi di colpire, di distruggere, compiendo nuovi delitti fino a sera. A mezzogiorno tutte le case del paese erano incendiate; i suoi abitanti fissi e gli sfollati erano stati tutti trucidati. Le vittime superano di gran lunga i cinquecento, ma il numero esatto non si potrà mai sapere. "Alcuni scampati all’eccidio erano corsi in basso a portare la notizia agli abitanti della pianura raccolti in gran numero nella conca di Valdicastello. La notizia la portavano sui loro volti esterrefatti, nelle parole monche che erano appena capaci di pronunciare e dalle quali chi li incontrava capiva che qualcosa di terribile era accaduto pur senza immaginare le proporzioni. Della verità cominciarono invece a sospettare nelle prime ore del pomeriggio quando le prime squadre di assassini scendendo dalle alture di Sant’Anna, si annunciarono sull’imbocco della vallata a monte del paese. Li sentivano venir giù precipitosi,accompagnati dal suono di organetti e di canzoni esaltate, e quel ch’è peggio dal rumore di nuovi spari, da nuove grida, che non convinti di aver ben speso quella giornata, i tedeschi la completavano uccidendo quanti incontravano sul sentiero della montagna. Alcuni che al loro passaggio s’erano nascosti nelle antrosità della roccia vi furono bruciati dentro dal getto del lanciafiamme. Una donna che correva disperata portando in salvo la sua creatura, raggiunta che fu, le strapparono dalle braccia il prezioso fardello, lo scagliarono nella scarpata e lei stessa l’uccisero a colpi di rivoltella nel cranio. Molti altri furono raggiunti dalle raffiche di mitragliatori mentre fuggivano saltando per le balze della montagna, come capre selvatiche contro le quali si esercitava la bravura del cacciatore. Quando i tedeschi raggiunsero Valdicastello cominciando a rastrellare gli abitanti, il paese era già stretto dall’angoscia; gli abitanti serrati nelle case e nascosti alla meglio; la strada deserta; tutti oppressi da un incubo di morte. Il passaggio dei tedeschi dal paese si chiuse con la discesa del buio sulla valle, dopodichè ottocento uomini erano stati strappati dalle case e condotti via, e un’ultima raffica di mitragliatrice accompagnata da un suono più sguaiato e atroce di organetto, aveva tolto la vita ad altri quattordici infelici, scelti a caso.

lunedì 11 agosto 2008

Speranza in Bolivia


Ce l'ha fatta. L'indio Evo Morales non solo e' stato riconfermato presidente della Bolivia, ma guadagna il 10% di consensi ottenendo un clamoroso 63% nel referendum confermativo, prima voluto e poi osteggiato dall'opposizione filo-latifondista. Nonostante i titoli dei giornali italiani titolino "una vittoria a meta'", oltre alla straordinaria affermazione personale anche un terzo dei prefetti oppositori hanno perso e siano stati revocati. Le dieci cariche più importanti del paese (presidente, vicepresidente e otto dei nove governatori) si erano infatti sottoposti Domenica ad un referendum popolare per confermare o meno il loro incarico. L'opposizione in mano all'oligarchia latifondista supportata dagli USA aveva inizialmente chiesto il referendum per impedire che la nuova Costituzione entrasse in vigore, sancendo con decisione la rotta della nuova Bolivia nella direzione della ridistrubizione e dell'equita' sociale. Certo del sostegno della sua gente, il Presidente ha pero' raccolto la sfida, gettando nel caos l'opposizione che per mesi si e' quindi opposta in ogni modo al referendum che aveva essa stessa chiesto. Per cui Domenica era in gioco non solo il mandato del presidente, ma anche il cambiamento in atto nella nuova Bolivia: un cambiamento non solo nelle parole, ma anche nei fatti, come la distrubuzione a beneficio dei ciottadini dei proventi della nazionalizzazione degli idrocarburi. In questa intervista a Gennaro Carotenuto, Morales illustra i successi ma anche le difficolta' del primo governo indio nella storia del paese. Che da 30 mesi governa con tutti i media del paese contro, con l’Ambasciata degli Stati Uniti che ha investito 124 milioni di dollari per destabilizzare il governo, e con un’opposizione eversiva e razzista che considera intollerabile che un indio governi il paese. Gli hanno impedito di fare campagna elettorale, minacciato costantemente di morte e perfino solo di entrare in alcune regioni del paese. Ma Evo ce l'ha fatta, anzi ha aumentato clamorosamente il suo consenso, tendendo poi addirittura una mano ai governatori ribelli dicendo subito dopo i risultati che l'autonomia si puo' fare, "se e' per il bene del popolo" e rispettera' la nuova Costituzione. Per tutta risposta uno dei governatori indipendentisti sconfitti si rifiuta di riconoscere il risultato e apre una crisi potenzialmente violenta per la propria rimozione, mentre uno dei confermati prepara un corpo di polizia autonomo imperniato su bande neofasciste e intima al governo di non fare alcun passo per far entrare in vigore la nuova Costituzione. Continua dunque, ma tra mille difficolta' e con un golpe strisciante supportato dagli USA, la sfida di restiture la Bolivia e le sue risorse al popolo boliviano, con un proprio modello di sviluppo diverso da quello capitalista. Continua in un paese dove si sta conducendo una battaglia senza quartiere all’analfabetismo, e dove, con l’aiuto dei medici cubani e l’appoggio del Venezuela, sono oggi garantite ai piu' poveri 15 milioni di prestazioni sanitarie gratuite l’anno (ad esempio, 250.000 persone hanno riacquistato la vista con operazioni a volte semplici e gratuite come quella di cataratta, mentre prima erano semplicemente condannate alla cecita' perche' non in grado di pagare). Un paese che e' pienamente parte di un processo emancipatore sempre piu' forte, quello dell’integrazione latinoamericana in cui per primo ha creduto il presidente venuezuelano Chavez, poi appoggiato oltre che da Morales anche dall'argentina Fernandez e dal brasiliano Lula, in cui l'autonomia economica e culturale, e lo sviluppo democratico ed ecosostenibile del continente sudamericano, sono alla base della riduzione radicale della drammatica esclusione sociale che in questi paesi e' il segno indistinguibile delle politiche post-coloniali e neoliberiste. Che hanno visto nel continente soltanto un immensa risorsa di materie prime e di forza lavoro destinata alla poverta', perche' nella visione dei sommersi e dei salvati per loro non c'e' spazio alla mensa del ricco occidente. E che invece stanno, con fatica, mostrando a chi voleva schiacciarli che un altro sviluppo e' possibile.

venerdì 8 agosto 2008

Tregua olimpica o guerra infinita?


Alla faccia dello spirito di Olimpia, mentre a Pechino iniziano tra le polemiche le Olimpiadi, in Georgia esplode definitivamente una crisi con conseguenze mica da ridere. In soldoni, gli USA vogliono espandere la loro egemonia in zone chiave quali il Caucaso e l'est Europa, e al vertice NATO ad Aprile tentarono in ogni modo l'annessione dell'Ucraina e della Georgia, poi bocciate per l'intervento dei paesi europei, Francia in testa. Tuttavia, con gran scorno di Putin che teme ovviamente l'avanzare americano nelle zone ex-sovietiche, la Georgia, in cui transitano gasdotti di fondamentale importanza, insiste nell'intento. Mentre comincia ad attrezzarsi per le rinnovate ostilita', il gigante russo decide di contrastare i piani georgiani appoggiando i separatisti di Ossezia meridionale e Abkhazia, due zone georgiane autonome, e dichiaratesi unilateralmente indipendenti nel 1991, che gli Usa hanno poi praticamente lasciato in protettorato alla Russia in cambio della non opposizione all'indipendenza del Kosovo. Comincia quindi l'escalation, in cui i Russi soffiano sul fuoco del separatismo per tamponare l'influenza americana nell'area, e i Georgiani cercano di approfittare delle spalle coperte dall'alleato americano per riprendere il controllo delle provincie ribelli. Fino ai morti di oggi. Fino ai bombardamenti d’artiglieria che continuano a Tskhinvali, capitale dell'Ossezia, e nei villaggi che la circondano, aumentando la possibilità del coinvolgimento di altre aree e dell’escalation del conflitto nell’intera regione. Si prepara un nuovo macello, un nuovo capitolo della guerra globale, o "infinita" come la defini' la stessa amministrazione Bush, per l'accaparramento delle risorse energetiche e di postazione strategiche? Una guerra che ha ormai nuovamente strappato al diritto, dopo la parentisi alla fine del secondo conflitto mondiale, il ruolo di istituzione suprema di regolamentazione dei rapporti internazionali. Una guerra pervasiva, ubiquitaria, molecolare, che utilizza i piccoli contrasti locali per i propri scopi globali ,e che si e' ormai posta come nuova modalita' dei rapporti pubblici del nuovo millennio. Per salvare dal disastro una frazione piccola dell'umanita', mentre gli altri rimangono soltanto eccedenze e pedine da giocare per i propri scopi. E intanto arde sempre piu' ipocrita tra i potenti della terra la torcia olimpica...

giovedì 7 agosto 2008

Manifestare dissenso


Un dubbio mi attanaglia. In Italia la situazione e' di Emergenza Nazionale, con razzismo e classismo che sono ormai stati sdoganati, dove solo nella giornata di ieri sono state annunciate norme anti rovistaggio nei cassonetti a Roma (in quanto pericolossimo per la sicurezza pubblica); con un ex-ministro sostiene, proprio mentre le statistiche dicono che il numero dei morti sul lavoro e' piu' del doppio degli omicidi, che le statistiche sono fasulle e che e' l'ora di smettere di criminalizzare gli imprenditori; mentre il piano caso annunciato dal governo si rivela una farsa per ammiccare ai costruttori, e il piano della Fenice per salvare Alitalia e' costato gia' 270 milioni agli italiani; con la manovra appena varata appare inevitabilmente come un disatro, che mira solo a minare lo stato sociale tagliando indiscriminatamente e puntando alla privatizzazione dei servizi fondamentali per creare una societa' sempre piu' classista; dove il governo pensa ai problemi del suo capo invece a quelli del paese, minando anche il principio dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge per i piu' forti e per i piu' deboli, etc etc etc. Ma allora, se alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici sara' fatto divieto agli atleti di protestare contro il governo Cinese, se davvero gli italiani sfileranno diligenti alle regole senza simboli pro-Tibet e pro-diritti umani, perche' non manifestare il proprio disagio almeno nei confronti del governo italiano?

mercoledì 6 agosto 2008

L'importante e' partecipare


Un ministro del governo italiano, Giorgia Meloni, e il capogruppo del Pdl al senato Gasparri, qualche giorno fa hanno ripreso il gesto della tedesca Imke Duplitzer, che ha annunciato di non partecipare per protesta alla cerimonia inaugurale dei giochi, invitando gli atleti italiani a fare altrettanto: "Il gesto sia da stimolo per tutti gli atleti, compresi quelli italiani. Si tratta di un gesto simbolico, che dovrebbe invitare tutti a riflettere su quei principi fondamentali, Pace, Libertà e Democrazia, che non possono essere messi in secondo piano. Anche con queste manifestazioni di dissenso, come già avvenuto in passato, si può esprimere sostegno e solidarietà alle popolazioni che vedono soffocata la propria libertà". Tutto vero. Tutto condivisibile. Peccato pero' che il governo stesso e' il primo ad essersi ben guardato dal mettere in campo qualsiasi forma di protesta, spedendo senza problemi alla cerimonia il ministro degli esteri Frattini. Guardandosi bene da ogni polemica per non incrinare i preziosi rapporti commerciali col colosso Cinese. A chiarire che l’Italia disapprova la repressione in Tibet, la censura, il mancato riconoscimento della libertà di pensiero, parola, culto, di procreazione, la sistematica violazione di diritti umani fondamentali ci pensino invece solo gli atleti, assumendosene personalmente tutte le conseguenze, e tutti i rischi: il dissenso privatizzato, in un paese dove si sta cercando di rendere tutti i servizi a disposizione solo di chi se li puo' permettere. Evidentemente anche il dissenso e' diventata una roba per pochi eletti. Anzi, per pochi non eletti, perche' quelli che ci dovrebbero rappresentare tutti sono troppo attaccati alle loro poltrone.
Ancora piu' ipocrita la reazione degli atleti, chiamati in causa dai due esponenti della maggioranza. Per Rossi, portabandiera italiano,
"adesso, noi siamo qui per gareggiare, tocca alla politica fare di più per aiutare la Cina a prendere la strada giusta", in linea col presidente del CONI Petrucci secondo il quale non bisogna sporcare lo sport con la politica. Come se la politica fosse una cosa sporca, e non la piu' nobile. Come se le Olimpiadi con la loro tregua non siano state da sempre nella storia un evento di una rilevanza politica enorme. Ma le federazioni accettano senza una piega di trasformare i loro atleti in cartelloni pubblicitari ambulanti, per poi ergersi indignate a difesa della purezza dell’ideale olimpico quando nei paraggi, anziché uno sponsor, passa la sporca politica. Alle volte pero' i singoli sono migliori delle federazioni che li rappresentano. Forse e' vano sperare in un gesto eclatante come quello di Tommy "Jet" Smith e John Carlos, che a Città del Messico, 16 ottobre 1968 alzarono sul podio dei 200m il guanto delle Pantere Nere, il movimento a difesa dei diritti dei neri d'America, che costo' loro la cacciata dalle Olimpiadi e le medaglie. Ma alcuni atleti tra i piu' importanti hanno intanto gia' scritto al Presidente Cinese Hu Jintao, perche' "permetta una soluzione pacifica" della questione tibetana, protegga "le libertà di espressione, di religione e di opinione "nel suo Paese incluso il Tibet", perche' assicuri che i difensori dei diritti umani "non siano più intimiditi e imprigionati", per "fermare la pena" di morte. E se gli atleti italiani saranno compatti alla cerimonia di apertura per non contaminarsi con la sporca politica, mentre in Cina secondo Amnesty International "in questi ultimi mesi, la situazione dei diritti umani è peggiorata... nel periodo che ha preceduto i Giochi, le autorità cinesi hanno imprigionato, posto agli arresti domiciliari o allontanato a forza chi avrebbe potuto minacciare l'immagine di 'stabilità' e 'armonia' che intendono presentare al mondo", io nel mio piccolo terro' spento il televisore: continua la campagna Turn-off Pechino.

martedì 5 agosto 2008

Ronda che ti passa


Con gli altri colleghi in istituto stiamo pensando di organizzare una raccolta di firme contro il governo tedesco, per chiedere i pattuglioni dell'esercito anche qua a Monaco. Perche' con tutti questi italiani in giro non ci sentiamo affatto sicuri: mica e' giusto che in Italia si' e qua niente, siamo sinceramente invidiosi. E poi vuoi mettere la professionalita' nel garantire la sicurezza di gente che e' stata addestrata per missioni anti-guerriglia? Altro che i poliziotti disarmati e inermi che girano in Inghilterra, siamo davvero fortunati ad avere un governo finalmente capace di prevenire i bisogni della gente, anzi, di crearli ex-novo con manovre come questa. Perche' se anche e' solo uno sperpero di soldi mettere i soldati per strada, di sicuro crea un clima da assedio. E a tutti quegli smidollati che a vederli invece di stare tranquilli si agitano, il ministro La Russa consiglia una bella dose di olio di ricino per digerire anche questa. Infatti ci spiega il ministro, "oltre ai delinquenti, agli stupratori, a chi fa furti e rapine - ovviamente efficacemente e definitivamente contrastati e sconfitti da ben 3000 uomini sparpagliati su tutto il territorio nazionale - sono contrari alla presenza dei militari per garantire la sicurezza solo i post sessantottini". Come evidentemente sono diventate tutte le forze di Polizia di questo paese, umiliate da questo provvedimento proprio mentre lamentano un taglio effettivo di fondi destinati alla sicurezza vera. E a chi non vuole rassegnarsi a un'atmosfera da colpo di stato, Suzukimaruti propone una contro-offensiva armati di videocamera. Bastera'?
Intanto gli effetti dei pattuglioni non si fanno attendere: a Milano il primo fermato ha addirittura rotto, in preda a non chiarito eccesso d'ira, il vetro di un estintore nella Metro. L’episodio, che poteva chiaramente trasformarsi in tragedia, è stato pero' prontamente arginato da una delle pattuglie che il governo ha messo a vigilare sulle nostre città: due militari e due poliziotti, aiutati dalla volante del Commissariato che li ha subito raggiunti sulla scena del crimine, hanno fermato il teppista. E tutti ora ci sentiamo un po’ piu' tranquilli.

lunedì 4 agosto 2008

L'altra Europa


Puntuale come la canicola, arriva su Repubblica a puntate l'ultimo pazzesco viaggio di Paolo Rumiz: L'altra Europa. Quella che fu oltre la cortina, tregua a cavallo fra due mondi. Da non perdere perche' nessuno meglio di Rumiz sa descrivere un luogo fino a fartelo assaporare dalla poltrona, per viaggiare 7000 km con un click cercando di capire un po' di piu' cosa sia quella straordinaria mescola di etnie, lingue, tradizioni, storia e speranze che è il vero centro geografico del Vecchio Continente, dall'Artico al Mediterraneo.

"Guardi questa terra, non è meravigliosa?", mi ha chiesto una sera una contadina ucraina davanti a un oceano di messi nel vento. Le ho risposto: "Potrebbe nutrire tutta Europa". Allora lei, come a se stessa: "Perché allora siamo così poveri? Perché milioni di noi emigrano? Perché c'è tanta terra incolta? Perché tante donne vanno in Italia a badare ai vostri vecchi?". E poi, dopo un lungo silenzio: "Glielo dico io il motivo: siamo governati da banditi. E voi in Italia, li avete anche voi i banditi al potere?".

Su Repubblica.it ci sono gia' le prime due puntate...

Marketing


Grillo finalmente ammette ai suoi seguaci che le firme del V-Day (come previsto) non servivano a nulla. Anzi, secondo il famoso teorema dell'utensile, a qualcosa secondo lui si': a contarsi. Peccato avesse promesso mirabolanti referendum per sconfiggeri quelli che promettono e non mantengono. Da che pulpito. "Molti mi dicono che i Vday sono stati come una botta e via. I Vday sono serviti a vederci, toccarci, sorridere e affermare il nostro diritto a gridare che siamo vivi, siamo ancora vivi. Non ci hanno battuto e non ci batteranno mai". E io che credevo fossero serviti a vendere DVD... beata innocenza!